Matera, considerata una delle città più antiche al mondo, abitata ininterrottamente dalla preistoria fino ai nostri giorni, è uno di quei luoghi dove si lascia il cuore. I Sassi, le sue antichissime abitazioni, in parte scavate nella roccia, in parte modellate secondo una millenaria tradizione popolare, emozionano. Dal punto di vista geografico, il torrente Gravina scorre nella profonda fossa che delimita da una parte l’area protetta del parco della Murgia Materana, famoso per le sue Chiese rupestri e, dall’altra, i due antichi rioni della città: il Sasso Barisano e il Sasso Caveoso, scavati nella Calcarenite: il risultato è un luogo nascosto, celato per interi millenni agli occhi dei nemici. Continua a Leggere
Conosciuta a livello internazionale per il suo pane, la città è di origini molto antiche. La zona fu, infatti, abitata già nel II millennio a.C. e ne sono testimonianza alcuni recenti ritrovamenti. Solo con i Peuceti però si delineò un primo vero centro, abitato stabilmente. L’attuale città venne probabilmente fondata dai Saraceni, ma assunse una certa importanza sotto Federico II che, oltre a cercare di ripopolarla, vi fece erigere un valido sistema di mura difensive, un castello e la famosa cattedrale. L’abitato della città restò entro le mura fino alla fine del ‘700, quando, grazie ad un periodo di grande floridezza economica, andò estendendosi anche al di là delle mura. Nel medioevo la città fu feudo di nobili famiglie come gli Orsini e i Farnese. Successivamente aderì alla Repubblica di Napoli autogovernandosi.
La cattedrale venne edificata nel 1232 per volere di Federico II di Svevia che la dedicò a Maria Assunta di Gravina. In seguito ad un terremoto del 1316 venne parzialmente distrutta e ricostruita. La chiesa subì nel tempo anche molti altri interventi di modifica e ampliamento, riuscendo però a mantenere l’impianto originario. Preceduta da una scalinata, la facciata presenta un un bel portale ornato da bassorilievi e sovrastato da un rosone ornato anch'esso da bassorilievi. Due bei campanili, ornati da bifore e trifore, racchiudono la statua del Cristo Benedicente. L’interno della chiesa, a tre navate divise da colonne sovrastate da archi, è rivestito di marmi.
Conserva al suo interno interessanti reperti che vanno dall’età del bronzo all’epoca ellenistica. Tra questi anche splendidi gioielli in oro del II secolo a.C. e un sarcofago con lo scheletro di una bambina, corredato di statuette.
documentano la convivenza in città di diverse comunità religiose e sono composti da stretti vicoli che sfociano in cortili ove si svolgeva la vita sociale della comunità, si lavorava e si custodivano gli animali. Particolarmente belli sono: il claustro Tricarico, il claustro Giudecca e il claustro Patella.
si tratta di tipiche abitazioni poste nella campagna circostante che dispongono di fortificazioni come: mura di cinta, fossati, torrette di avvistamento per garantire la difesa del territorio e degli abitanti. Alcune di queste Masserie sono cadute in rovina altre sono state trasformate in Agriturismi o in aziende agricole, che ospitano spesso anche laboratori didattici. Tra le Masserie più note, segnaliamo la Masseria Calderoni, ora sede di un resort, la Masseria De Angelis (Vai al sito) e la Masseria Jesce.
Si tratta di un immenso spazio a cielo aperto appartenente probabilmente al periodo Cretacico Superiore dove sono state rilevate più di 30.000 impronte di dinosauri, articolate su vari sentieri. Al momento la cava non è visitabile.
La grotta è importante perché nel 1993 vi è stato scoperto lo scheletro di un Homo, che si pone tra l’Herectus e il Neanderthal, vissutoi circa 250 milioni di anni fa. Lo scheletro lo scheletro posto tra stalattiti e stalagmiti, ricoperto da formazioni coralliformi, è stato chimato l'Uomo di Altamura. All’interno della grotta sono visibili anche resti di animali scomparsi dalla valle milioni di anni fa. Tra questi un bovide arcaico, un daino e un cervo. Presso la Masseria Langone è stato istituito un centro visite nel quale è possibile vedere immagini tridimensionali dell’uomo diAltamura.
Conosciuta come la Città Bianca per il colore delle sue case poste su tre colli a circa 200 metri sul livello del mare, Ostuni è circondata da magnifiche coltivazioni di ulivi. La città dispone di un bel borgo medioevale con strette viuzze, piazzette e corti colme di odori e suggestioni che ricordano le casbah arabe. Le case del centro storico sono state scavate nella roccia e unite tra di loro con archi o semiarchi con funzioni di sostegno. Molte scale collegano le varie zone del centro. La città, che dal 2008 ha ricevuto ininterrottamente la bandiera blu d’Europa per le belle spiagge di cui dispone, per la limpidezza delle sue acque e per la qualità dei servizi offerti, in inverno è praticamente deserta mentre in estate si anima di turisti che passeggiano per le vie o sorseggiano aperitivi nei dehors dei molti locali. Di origini romane venne conquistata dai Longobardi e dai Saraceni per essere successivamente al centro di un territorio popolato da monaci basiliani. Sotto il dominio degli Angioini venne dotata di una cinta muraria, che fu rafforzata con torrioni sotto il dominio degli Aragonesi. Il cuore pulsante della città è rappresentato da Piazza della Libertà sulla quale si affaccia il Palazzo del Municipio, ospitato nell’ex convento Francescano. Sulla piazza è ubicato l’obelisco di Sant’Oronzo.
Da vedere:
Terminata nel 1495 la cattedrale dedicata a Maria Assunta ha una facciata in stile gotico ornata da lesene, da tre portali abbelliti da bassorilievi e sormontati da tre rosoni di cui il centrale di notevoli dimensioni. L’interno ha subito notevoli rimaneggiamenti che ne hanno stravolto le fatture originali, il soffitto è ornato da dipinti del ‘700.
Dedicato al Santo Protettore della città, che secondo la tradizione la liberò dal contagio di una terribile pestilenza, il santuario è posto a circa tre chilometri dal centro della città. La sua costruzione risale al XVII secolo. Si dice che la cripta, posta sotto al presbiterio, abbia ospitato il Santo al tempo delle persecuzioni contro i cristiani, praticate dall’imperatore Nerone. Una scala posta a sinistra della chiesa conduce i visitatori ad una fontana che, secondo la tradizione, venne fatta zampillare dal Santo.
Il museo, ospitato nell’ex monastero di Santa Maria Maddalena, è stato aperto nel 1989 e conserva reperti archeologici provenienti dalle varie campagne di scavi, effettuati in tutta la zona che circonda Ostuni. Uno dei reperti più interessanti è costituito dai resti di una donna gravida, ritrovati nella grotta di Santa Maria di Agnano. Il reperto risalente al pleistocene venne ritrovato nel 1991 assieme al suo corredo funebre, costituito da bracciali di conchiglie, da un copricapo e da strumenti in pietra.
Le Spiagge: di notevole interesse turistico sono i 17 chilometri di spiagge di cui dispone la città, che ne fanno uno dei luoghi di villeggiatura più apprezzati della Puglia. Si tratta di lunghe spiagge sabbiose che si alternano a calette poste in mezzo agli scogli, tra giochi di luci e colori particolarmente suggestivi. Il mare incontaminato e la bellezza dei fondali offre la possibilità di fare snorkeling e immersioni ed entrare in contatto con innumerevoli varietà di pesci. Tra le spiagge vi segnaliamo: Pilone (spiaggia di sabbia fine con dune, divenuta riserva regionale); Rosa Marina, costituita da un insieme di spiagge di sabbia fine; Costa Merlata, costituita da un insieme di calette che spuntano tra gli scogli; Torre Pozzella anch'essa caratterizzata da una serie di calette protette da alti scogli e da una torre di avvistamento del XVI secolo, da cui prende il nome.
Oria ha origini diverse rispetto agli altri centri della zona. Secondo Erodoto di Alicarnasso e Strabone, infatti, sarebbe stata fondata nel 1200 a.C., con il nome di Hyria, da un gruppo di naufraghi cretesi di Minos, che scelsero, a scopo difensivo, il colle più alto della zona. Dall’VIII secolo a.C. Oria diventò il centro di riferimento politico dei Messapi, con intensi scambi con l’intera Messapia e le città della magna-grecia. Ebbe alterne vicende con la città di Taranto, con la quale si arrivò anche a combattere, e finì per essere sottomessa ai Romani che, nell’88 a.C. ne fecero un municipio. Con la caduta dell’Impero Romano d’Occidente, Oria fu soggetta a Greci, Longobardi e Bizantini. Per tutto il IX e X secolo subì le violente incursioni saracene e, nonostante l’intervento in sua difesa dell’imperatore Ludovico II dell’867, fu distrutta ancora una volta nel 924. L’XI secolo è caratterizzato dalla conquista della città da parte dei Normanni, che precedette quella degli Svevi. Tra il 1225 e il 1233 l’imperatore Federico II di Svevia dichiarò Oria città demaniale e vi fece edificare il castello che ancora domina l’intera zona. Nel 1433, durante il periodo angioino, la città fu assediata e saccheggiata, per diventare poi feudo degli Orsini del Balzo. Resistette strenuamente all’assedio degli spagnoli, ma, dal secolo XVI in poi iniziò un periodo di grande declino, e Oria passa come feudo da una casata all’altra. Nel 1572 divenne di proprietà di San Carlo Borromeo. Solo nel corso del ‘700 si cercò di porre rimedio allo stato di abbandono in cui versava la città, con interventi di recupero e restauro dei monumenti principali. Durante il Risorgimento molti dei cittadini aderirono al progetto dell’Unità d’Italia. Nel 1951, in ragione della sua storia millenaria, con Decreto della Presidenza del Consiglio, ad Oria è stato conferito il titolo di città. Il suo centro storico è diviso in quattro rioni: Rione Castello, Rione Judea, Rione Lama e Rione San Basilio. Un buon momento per visitare Oria è in occasione del Corteo Storico di Federico II e del torneo dei rioni, che si svolge il secondo fine settimana di agosto.
Frutto delle grandi opere di modifica, ampliamento e ricostruzione, oggi il castello ha forma triangolare, scandita dalla presenza di tre torri fortificate. Molto probabilmente già nell’alto medioevo esisteva una fortificazione, ma fu l’imperatore Federico II ha edificare un vero castello, tanto da giustificare il nome di Castello Svevo. Due delle sue torri risalgono quasi sicuramente al periodo angioino, mentre l’originale mastio normanno-svevo fu più volte riadattato nel corso del tempo alle mutate condizioni belliche, come l’adozione delle armi da fuoco. Nel corso della sua storia fu assediato e assalito in molte occasioni, ma non sempre i nemici riuscirono ad espugnarlo, come nel caso di Pietro de Paz che nel 1504 non riuscì a conquistare la rocca. Sottoposto a integrazioni, restauri e ricostruzioni nel corso dell’800 e del ‘900, fu devastato nel 1897 da un ciclone che investì la città di Oria. Nel 1933 il Comune di Oria cedette il Castello alla famiglia Martini Carissini e ne ottenne in cambio Palazzo Martini, sede del Municipio. I nuovi proprietari restaurano il castello e, per questo impegno civico, furono insigniti dal re Vittorio Emanuele III del titolo di Conti di Castel d’Oria.
Il Castello, dichiarato Monumento Nazionale, è dal 2007 proprietà della società Borgo Ducale srl. e utilizzato come centro congressi.
Fu costruita nel 1750 in stile barocco, a seguito della demolizione della chiesa medioevale preesistente, edificata nella prima metà del XIII secolo e due delle sue colonne furono acquistate dal re di Napoli e utilizzate per la Cappella della Reggia di Caserta. Il suo interno è ricco di stucchi e marmi policromi. Durante i lavori di restauro sono venute recentemente alla luce la cripta dei Vescovi posta sotto il Presbiterio. Dal 1992 la Cattedrale di Oria è anche Basilica.
È una torre cilindrica posta alle spalle della cattedrale di grande importanza storica perché, con tutta probabilità, faceva parte dell’antichissima fortificazione messapica. Viene chiamata anche “carnara” perché al suo interno è stato rinvenuto un ossario del XVIII secolo.
È una delle tre porte della città, per l’esattezza quella posta sulla via per Taranto e conduceva alla giudecca di Oria: un quartiere medioevale fatto di stradine tortuose, piccole case e botteghe. Qui fiorì la comunità ebraica di Oria, conosciuta ed apprezzata in tutto il Mediterraneo, che conobbe il suo periodo d’oro nel IX secolo.
Anche se il barocco e il rococò non dovessero essere i vostri stili preferiti, dovrete ammettere che passeggiare per le belle strade di Martina Franca, immergersi nei suoi delicati colori, perdersi nei suoi vicoli intricati per ritrovarsi nelle sue eleganti piazze simili a salotti, tra i balconi in ferro battuto, gli stemmi e le decorazioni dei suoi bei palazzi settecenteschi (se ne contano almeno ventidue) è davvero una grande gioia.
Sorge nel sud della Murgia, al confine tra le province di Taranto, Brindisi e Bari, a 413 metri s.l.m. nella valle dell’Itria. Tutta la zona è caratterizzata da uliveti e vigneti separati tra loro da splendidi muretti a secco, allietati dalla presenza di bellissimi trulli. Uliveti e vigneti si alternano a tratti di bosco (dove cercare il fungo cardoncello) e macchia mediterranea che nascondono grotte e anfratti, rifugio di rapaci notturni, come gufi, civette e barbagianni, ma anche di lepri, volpi e ricci. La presenza di una folta colonia di pipistrelli è particolarmente apprezzata, sia perché è indice di un habitat integro e ricco di acqua, sia perché questi piccoli e delicati mammiferi si nutrono di insetti nocivi per l’agricoltura.
In questa zona sono state trovate testimonianze di insediamenti e di allevamenti di cavalli, già a partire dal neolitico. Fu poi terra dei Messapi, dei Longobardi, dei Romani e divenne rifugio di un gruppo di ebrei in fuga da Oria. Le origini della città risalgono al X secolo, quando un gruppo di profughi tarantini, per porsi al riparo dalle scorrerie saracene, fondò un piccolo insediamento sul Monte di San Martino. Martina Franca seguì poi tutte le vicende legate al feudalesimo e parteggiò per gli Svevi contro gli Angioini. Intorno al 1300 fu eletta comune da Filippo I d’Angiò, che concesse anche privilegi e franchigie per favorire nuovi insediamenti. Per questo motivo la città, chiamata fino a quel momento Martina in onore del Santo francese Martino di Tour, divenne Franca Martina. In seguito, le vicende storiche porteranno la città a perdere alcune di queste concessioni, come la demanialità perpetua, ed essa tornerà a chiamarsi Martina. Solo nel 1871, dopo l’Unità d’Italia, la città prenderà il nome di Martina Franca. Tornando alla sua storia, i secoli XIV e XV segnano un periodo buio, segnato dai soprusi e dai tentativi di conversione contro la comunità ebraica insediatasi nella zona, alla quale fu proibito di vivere in città, e che si stabilì nella zona che corrisponde all’attuale via Cappelletti. Fino all’Unità d’Italia, Martina era cinta da mura, con 4 porte di ingresso, 12 torri quadrate e 12 torri rotonde. Nel corso dei secoli la necessità di una struttura difensiva andò gradualmente diminuendo, tanto che alcuni torre furono abbattute per creare nuove strade e altre furono trasformate in abitazioni, mentre delle porte furono mantenute soltanto le arcate. Interessante l’intricato assetto delle vie del centro storico, con vicoli ciechi, strade strette, piene di spigoli e a volte addirittura nascoste, che costituiscono un vero e proprio labirinto, ulteriore strategia difensiva nel caso in cui i eventuali nemici fossero riusciti a superare la sua cinta muraria.
Martina Franca è famosa, oltre che per la sua splendida architettura barocca, anche per il Festival della Valle d’Itria, dedicato alla musica lirica e sinfonica, che dal 1975 si svolge ogni anno da metà luglio ai primi di agosto, con concerti, eventi e manifestazioni. La peculiarità di questo importante Festival è quella di portare in scena opere inedite.
Il suo nome è, inoltre, associato alla produzione di salumi di qualità e il suo capocollo, marinato nel vincotto, aromatizzato con le erbe della Murgia dei Trulli e affumicato utilizzando solo cortecce di fragno era noto e apprezzato nel Regno di Napoli già nel 1700.
Passando attraverso la Porta di Santo Stefano, il passaggio trionfale di accesso al centro storico, si entra in piazza XX settembre, letteralmente dominata dall’imponente palazzo ducale edificato per volontà di Petracone V Caracciolo a partire dal 1668, ora prestigiosa sede del Municipio di Martina Franca. L’edificio conta 300 stanze, un teatro, cappelle e stalle. Lo stile è barocco. Una splendida balconata in ferro battuto corre lungo tutta la facciata. Il piano nobile, con il suo bel susseguirsi di stanze affrescate da Domenico Carella nel 1776, è visitabile. Il palazzo ospita anche una piccola ma interessante mostra della civiltà contadina.
Viene definita “la perla” del barocco martinese. Fu eretta nella seconda metà del 1700 dove sorgeva una preesistente collegiata romanica, della quale furono riutilizzati i materiali. Ha una facciata imponente con l’immagine più nota di San Martino, quella in cui divide il suo mantello con un mendicante. All’interno, che ospita le reliquie di Santa Comasia, martire romana vissuta tra il II e il IV secolo, spiccano il Battistero e l’altare maggiore in marmi policromi del 1773, varie tele di Domenico Antonio Carella, la Cappella del S.S. Sacramento in stile tardo barocco, con cupola affrescata anch’essa dal Carella, il Coro in legno realizzato dalle maestranze locali nel 1775 e un bel presepe, opera di Stefano da Putignano. La Chiesa ospita anche la Madonna Pastorella (simbologia che si rinviene in molte edicole votive del centro storico), opera del XVIII secolo in gesso, stoffa e argento particolarmente amata a Martina Franca.
Di origine messapica (l’antico popolo, forse proveniente dai Balcani, che popolò questa zona a partire dal IX secolo a.C.), ha un nome che sembra far riferimento alla fertilità della sua terra (dal greco karpene, frugifera, che nel medioevo diventa Carvineo, ma che potrebbe derivare anche dal messapico Karp, che indica una collina con città fortificata. Carovigno seguì nel tempo le sorti dei centri circostanti più importanti: Taranto e Brindisi durante le guerre puniche; Ostuni ai tempi delle dominazioni dei Bizantine, dei Goti e poi, via via, divenne dominio dei Normanni, degli Svevi, degli Angioini e degli Aragonesi e, a seguire, dei Veneziani, degli Spagnoli, degli Austriaci e dei Borboni. Il castello, costruito nel secolo XV dagli Orsini Del Balzo contro la minaccia rappresentata da turchi e pirati rappresenta una delle tracce del feudalesimo a cui fu sottoposta Carovigno nel medioevo. I suoi cittadini parteciparono attivamente alla cospirazione carbonara ed ebbero una figura di spicco in Salvatore Morelli, scrittore, giornalista, politico, mazziniano, acerrimo nemico del regime borbonico, che fu un perseguitato politico fino alla realizzazione dell’Unità d’Italia. Fu un uomo illuminato, da ricordare, perché fu il primo politico europeo a richiedere in Parlamento la parità di diritti fra uomini e donne. Innumerevoli le tracce lasciate dalla storia: dalle mura megalitiche del VI-IV sec. a.C. a Nord e ad Ovest di Carovigno, al nucleo centrale tipicamente medioevale, alla cinta aragonese (XV-XVI secolo, nella quale si aprono la Porta brindisi, la Porta Nuova e l’Arco del Prete, oltre al castello che domina l’abitato.
A soli 7 Km dal mare, Carovigno si trova immersa in una bellissima area di ulivi secolari ed è considerata (citiamo la miniguida territoriale della Puglia) “roccaforte del gusto, con ristoranti rinomati a livello internazionale e chef pluripremiati”.
Sorge sul punto più alto del paese, da dove la vista è eccezionale e spazia su un ampio tratto di costa, da Torre Canne fino a Brindisi. Ha una singolare pianta triangolare, con tre torri, di cui una quadrata (probabilmente la più antica, di origine normanna), una rotonda (forse aragonese) e una dalla forma “a mandorla”, molto rara nell’architettura militare italiana, a nord, costruita tra il 1400 e il 1500 dai Loffreda, feudatari di Carovigno. Da allora la struttura del castello resterà immutata, passando per soli restauri conservativi, fino ai primi del 1900, quando il proprietario, il conte Alfredo Dentice, fece ricostruire “in stile” merlature e caditoie, integrando parti murarie rovinate dal tempo ed aggiungendo un loggiato ed un’altana a portico, affacciata sul cortile interno. Negli anni ’30 ospitò un lanificio. Attualmente vi hanno sede la Biblioteca comunale e il Museo delle Tradizioni Popolari.
Annoverato fin dal 1996 tra il patrimonio mondiale dell’umanità dall'UNESCO, Alberobello sembra una città uscita dalle fiabe, grazie ai suoi oltre mille trulli disseminati tra i rioni Monti e Aia Piccola. La città deriva il suo nome da Sylva Arboris Belli, l'enorme bosco che ricopriva un tempo l'intero territorio e di cui rimangono oggi solo alcune macchie. Venne fondata nel XV secolo dai conti Acquaviva di Conversano che lo ebbero come feudo fino al 1797, quando il re Ferdinando IV di Borbone nominò Alberobello "città regia", liberandola dallo stato di feudo, come da tempo chiedeva la popolazione. Le origini delle abitazioni che hanno reso famosa a livello mondiale la città, si devono ad una normativa degli Aragonesi che imponevano la regia autorizzazione per la costruzione di case in calce, pena la distruzione e l’allontanamento del colono dalle terre. Fu quindi Girolamo II di Acquaviva che, desideroso di costituirsi un feudo, incitò il popolo all'edificazione di case con muri fatti di sole pietre provenienti dalla bonifica dei campi. Si trattava di costruzioni che, in caso di controlli governativi, potevano essere abbattute in breve tempo. La visita della città si snoda attraverso i due rioni Monti e Aia Piccola:
Articolato in sette strade parallele, tra le quali via Monte Nero e Via Monte Pasubio, è il rione dove sorgono i trulli più antichi della città, compresi i trulli siamesi. Nel rione sorge la chiesa di Sant’Antonio, aperta al pubblico nel 1927, anch'essa con la tipica forma a trullo, che presenta una bella facciata, preceduta da una scalinata e sovrastata da un rosone. Con la valorizzazione del turismo molti dei trulli del rione sono stati adibiti a strutture ricettive, grazie anche alla caratteristica di essere freschi in estate e caldi in inverno. Se volete provare l’esperienza di un soggiorno in un trullo, vi suggeriamo di consultare il seguente sito di Trullidea
Il rione con i suoi 400 trulli e i suoi stretti vicoli è rimasto a tutt’oggi incontaminato e ricco di suggestione.
Rappresenta l’unico esempio di trullo sopraelevato, con una scala di accesso al piano superiore, incastonata tra le spesse pareti.
Il museo, che trova sede in un complesso di trulli tra loro comunicanti di particolare interesse, tratta la storia del territorio, la lavorazione della pietra e la genesi della costruzione delle tipiche abitazioni.
A proposito di Noci, la miniguida della Valle d’Itria gentilmente fornitaci dall’Agenzia Regionale del Turismo esordisce testualmente: “Ghiotti di mozzarelle, burrate e stracciatelle? Benvenuti a Noci, nella Murgia dei Trulli.” Come resistere?
Sulle origini di Noci esistono documentazioni che ipotizzano una cittadella militare eretta nella seconda metà del VI secolo d.C., ai tempi dell’imperatore bizantino Giustino II, altre, oggi ritenute più attendibili, che la fanno risalire al periodo della dominazione normanna. Il primo documento certo risale al 1180, quando l’arcivescovado di bari riconosce la Chiesa di Santa Maria delle Noci, che prendeva il nome dalle piante che ricoprivano l’intera zona. Un documento successivo risale invece al 1240, in pieno periodo svevo, quando l’imperatore Federico II obbligò gli abitanti di Noci a partecipare alla manutenzione del castello di Ruvo. Il nucleo originale crebbe durante il dominio angioino, fino a diventare Universitas, cioè Comune. I secoli successivi sono segnate dalle alterne vicende delle lotte contro il feudalesimo, che si concluderanno solo nel 1806. Coinvolti nelle associazione carbonare, un buon numero di abitanti di Noci lottò fino al 1820, quando Ferdinando I concesse la Costituzione. Sorge su un territorio molto piacevole alla vista, caratterizzato da fragni (querce simili alla rovere), ulivi, muretti a secco, trulli e masserie, in posizione più alta (420 metri s.l.m.) rispetto ai comuni circostanti, tanto da rientrare nella comunità Montana della Murgia Barese Sud est e dal 1997 fa parte dell’area naturale protetta. Il centro storico è bianchissimo: un susseguirsi di vicoletti con case dai tetti a pignon, che sembrano accennare alla tecnica dei trulli, singolari comignoli in pietra, piccole edicole votive, loggette e pergolati. Una caratteristica è rappresentata dalle Gnostre (dal latino claustrum, luogo chiuso), corti chiuse su tre lati che si aprono nelle stradine disegnando spazi intimi, a metà tra pubblico e privato, dove scambiare due chiacchiere e far giocare i bambini. Proprio alle Gnostre sono intitolate due sagre che si svolgono a novembre (Bacco nelle Gnostre, sagra del vino e delle castagne) e a dicembre (Pettole nelle Gnostre e cioccolato in sagra). Noci è molto rinomata per il suo comparto agro-alimentare e, in particolare, è famosa per la produzione della mozzarella treccina, per lo sfizietto, salsiccia di suino condita con semi di finocchio, per la coppa murgia, stagionata al naturale e per la produzione di cioccolato.
In zona è possibile visitare allevamenti di cinghiali, salumifici (L.I. Best. Di Liuzzi Domenico Srl, Via Cherubino da Noci, Noci), cantine ( Cantine Barsento, C. da San Giacomo) e caseifici (Maestri Casari d’Onghia, Provinciale per Castellaneta; questo caseificio ha un piccolo, ma imperdibile punto vendita a L.go Garibaldi 14, a ridosso del centro storico di Noci, tripudio di nodini, treccine e mozzarelle di ogni forma e dimensione (tutte assolutamente da provare!) e dove consigliamo di acquistare anche le intorchiate dolci con le mandorle.
La chiesa attuale si erge nel luogo dove già nel XII secolo era presente un luogo dedicato al culto mariano, che fu più volte ricostruita e modificata nel corso dei secoli successivi e intorno alla quale si andò sviluppando nel tempo il centro urbano. Una leggenda narra che fu edificata nel 1316 per volere del principe di Taranto Filippo I d’Angiò, che si era salvato da un violento temporale riparandosi sotto un albero di noci. La sua facciata e la struttura gotica originale si sono andate modificando a seguito degli ampliamenti e ristrutturazioni che si sono susseguiti nel tempo , fino all’intervento decisamente neoclassico effettuato tra il 1800 e il 1900, quando fu realizzato anche l’attuale campanile. Il suo interno ha tre navate e sono interessanti: il transetto alle spalle dell’altare maggiore, ornato con un polittico policromo della fine del XV secolo; il fonte battesimale trecentesco; la statua della madonna in trono con il Bambino del 1505, scolpita probabilmente da Stefano da Putignano; il Crocifisso di epoca barocca e le grandi tele della Via Crucis, già presenti nella chiesa in documenti del 1745.
La Torre Civica dell’Orologio è il simbolo di Noci e si erge proprio di fronte alla Collegiata; risale alla prima metà del 1800.
Interessante per la tela seicentesca attribuita a Luca Giordano che si trova nella sua sagrestia, è una chiesa che trae origine da un antico convento francescano del XVI secolo, modificato tra il 1800 e il 1900.
Si erge a circa 6 Km da Noci, in cima ad una collinetta affacciata sul canale di Pirro, dove sorgeva l’antico casale di Barsento, preesistente al nucleo abitativo di Noci, probabilmente abitato da popolazioni messapiche presenti in questa zona tra l’VIII e il III secolo a.C
Secondo una leggenda, la chiesa fu eretta nel 591 per volere di papa Gregorio Magno. A causa della sua architettura incerta, con influssi che si prestano a più interpretazioni, gli studiosi non hanno trovato un punto di accordo sul suo inizio che, a seconda delle diverse scuole di pensiero, spazia tra l’VIII e il XII secolo d.C.
La chiesetta ha una facciata a tre cuspidi con un piccolo campanile. Caratteristico il tetto, ricoperte di chiancarelle (piccole pietre piatte), utilizza la tecnica costruttiva dei trulli. L’interno, bianco a calce, ha tre navate, con volte a botte e tracce di affreschi nel catino dell’abside centrale.
Conosciuta soprattutto per la sua splendida cattedrale, la città sorge a 7 metri sul livello del mare, in un’insenatura che la protegge dalla forza delle mareggiate. La sua posizione geografica favorì fin dall’antichità lo sviluppo di un porto commerciale dal quale partivano navi cariche d’olio e frumento per tutto il mediterraneo. Nel periodo delle crociate, fu punto di partenza di Cavalieri e Pellegrini verso la Terra Santa. Di sicure origini romane, la città venne dominata dai Longobardi, dai Bizantini e dai Normanni per passare poi sotto il regno di Federico II di Svevia. Durante la dominazione angioina la città visse il suo periodo di massimo splendore, testimoniato dalla costruzione di molte delle sue chiese e dei suoi e palazzi signorili. Durante la dominazione Aragonese, la città iniziò, invece, un lungo e inesorabile periodo di declino, segnato anche da carestie e pestilenze dal quale si risollevò grazie all’istituzione della Sacra Regia Udienza (una sorta di Prefettura) che favorì l’arrivo in città di numerose personalità come avvocati, giudici e magistrati. La città visse quindi un nuovo periodo di sviluppo culturale, nel corso del quale vennero costruite biblioteche, mentre i palazzi si andarono arricchendo di quei tesori artistici, che ne fanno ancora oggi una città d'arte tra le più belle dell'Italia meridionale. Affascinante è il centro storico, con le le sue belle stradine lastricate e le sue case con dalle artistiche balconate in ferro battuto.
Considerata una dei massimi esempi di stile romanico pugliese, la cattedrale sorge su di un promontorio che si protende sul mare. Il contrasto tra questa costruzione in marmo chiaro di Trani, e il colore intenso del cielo e del mare su cui si staglia è tale, da restare letteralmente abbagliati. Costruita alla fine del XI secolo su una serie di quattro preesistente basiliche, venne dedicata a San Nicola Pellegrino, giovane proveniente dalla Grecia e morto a Trani, accolto dalla comunità e molto amato dai bambini. La cattedrale è preceduta da un ampio piazzale (utilizzato spesso per manifestazioni e concerti) ed è affiancata da un campanile con basamento ad arconi, ornato da bifore e trifore. La facciata è caratterizzata dal un doppio scalone di accesso, che conduce ad un magnifico portale in bronzo, recentemente sostituito da una copia per sottrarre l'originale (che si trova all'interno della Cattedrale) all'opera distruttiva delle intemperie. Il portale è formato di formelle raffiguranti da figure simboliche, tra cui spicca anche San Nicola pellegrino e, ai suoi piedi, l'autore del portale, che è fiancheggiato da archi ciechi, sormontati da tre finestre a tutto sesto. La finestra centrale, ornata da due leoni e due elefanti, è a sua volta sormontata da un rosone centrale che all’imbrunire illumina l’interno della cattedrale con giochi di luci. L’interno è tre navate, divise da colonne binate. Una volta rimossi tutti gli elementi barocchi che l'avevano appesantita nel tempo, la costruzione ispira un senso di maestosità, accentuato dai matronei che si affacciano sulla navata centrale. Al fondo delle navate si trova la cappella di Santa Maria che custodisce affreschi del ‘300 e del ‘400 e da essa si accede alla cripta che custodisce le spoglie di San Nicola.
Costruito nel 1233 da Federico II per scopi difensivi, si affaccia direttamente sul mare, controllandone l’accesso alla città. I bassi fondali che lo circondano fanno da protezione sia da mareggiate che, in passato, da sbarchi nemici. Ha forma quadrangolare, con quatto torri quadrate agli angoli ornate da merli. E' protetto da un muro fortificato e da un fossato collegato direttamente con il mare. Anticamente l’accesso al castello avveniva tramite un ponte levatoio ora sostituito da un ponte in pietra. Con l’avvento delle armi da fuoco, il castello subì notevoli opere di rafforzamento fino alla sua destinazione come sede della Sacra Regia Udienza. Dopo lunghi ed attento restauro, il castello è stato aperto al pubblico nel 1998.
Bitonto, conosciuta come “città degli ulivi”, sorge in un’area abitata già a partire dal neolitico, protetta dal vallone a gravina del torrente Lamaja. Il suo nome, di origine prelatina, allude forse alla prosperità delle sue terre (bonum totum). Più probabilmente fa riferimento al re illirico Botone, fondatore della città, secondo un’antica leggenda, e Bytontinon indicherebbe gente di Botone. Città ricca di storia, antico insediamento dei peuceti, divenne un importante municipio in epoca romana , grazie alla sua posizione strategica sulla via Traiana. La sua fama è da sempre legata all’ottima qualità del suo olio e un ramoscello di ulivo compare già sulle monete risalenti al IV- III secolo a.C., coniate a Bitonto e rinvenute nella zona. Uno degli episodi più noti del suo passato risale al 1734, quando Bitonto fu teatro dell’importante battaglia tra l’esercito austriaco e quello borbonico, che assicurò il Regno delle Due Sicilie a Carlo III di Borbone, che, a sua memoria, fece erigere l’obelisco Carolino, che si trova in piazza 26 maggio 1734. Il suo bel centro storico è a tratti delimitato dai resti delle antiche mura normanne. Delle cinque porte originarie di accesso alla città, rimangono oggi solo la porta Baresana e la porta La Maja, mentre sono ancora molte le torri angioine e normanne tuttora esistenti. Le sue strade lastricate seguono un andamento capriccioso, dove è molto piacevole avventurarsi, tra archi e corti fiorite. Dal 2004 è stata insignita del titolo di “città d’arte”. Bitonto è famosa per le celebrazioni dei riti della Settimana Santa, per le sue fiere (di cui parla anche Giovanni Boccaccio nella Novella X del Decamerone), come l’antica fiera di San Leone (6 aprile), e per l’Intorciata, festa dedicata ai due santi medici Cosma e Damiano (terza domenica di ottobre). Se volete acquistare l’olio per cui Bitonto è famosa nel mondo, la cultivar Cima di Bitonto, l’Oleificio “Cima di Bitonto”, Via Modugno sn, associa 500 aziende produttrici della zona.
Tra gli edifici più belli di Bitonto, il palazzo attrae lo sguardo con le sue linee tardo-rinascimentali considerate tra le più rappresentative del Rinascimento pugliese e la sua elegante loggia. Molto particolare anche il suo cortile gotico-catalano a portico. Fu costruito tra il 1229 e il 1583 da Giovanni Alfonso Sylos e dal 2009 ospita la Galleria Nazionale della Puglia: con opere che spaziano dal ‘500 al ‘900 di artisti quali: Tiziano, Vaccaro, Poussin…. fino a De Nittis, Balla, Wood… La Galleria è intitolata a Girolamo e Rosaria Devanna che hanno donato allo Stato questa loro interessante raccolta. L’allestimento è molto curato e gli ambienti sapientemente ristrutturati.
Splendida costruzione in stile romanico-pugliese, eretta al centro della città tra l’XI e il XII secolo, forse incompiuta, come sembrano testimoniare le tracce sui piloni della facciata, rimasta priva di portico. La cinquecentesca Loggia delle Benedizioni, voluta dal vescovo Carafa, singolare come soluzione ad angolo, fa da ponte tra la chiesa e il palazzo De Lerma. Splendidi il portale scolpito e il rosone che ornano la sua facciata, tra un fiorire di foglie di acanto, colonne e animali, tra cui il pellicano che simboleggia la generosità della Chiesa. All’interno, a croce latina, a tre navate con absidi, non perdetevi il bellissimo ambone del Nicolaus del 1229, la vasca battesimale monolitica e il soffitto caratterizzato da capriate lignee policrome. La cripta ha affreschi bizantini e volte a crociera, sostenute da colonne decorate con capitelli zoomorfi e fitomorfi di grande bellezza. Dalla cripta si accede ai resti della preesistente basilica paleocristiana, risalente al V-VI secolo. Scoperta solo recentemente, l’area archeologica si estende in una area piuttosto ampia ed è decorata con interessanti mosaici tra cui uno splendido grifone, visibile anche attraverso l’oblò posto sul pavimento della costruzione attuale. La Guglia dell’Immacolata, obelisco barocco su Piazza Cattedrale, fu realizzato dopo che il terremoto del 1731 risparmiò la città, rafforzando il culto per l’Immacolata.
Raccoglie opere e reperti dal XII al XX secolo del patrimonio artistico delle chiese di Bitonto, con una raccolta di quadri, statue, lapidi, paramenti ed argenti. Interessante anche la parte dedicata alla ricostruzione della storia della Cattedrale.
Per informazioni su orari e sede (il Museo è in via di trasferimento) si può far riferimento al sito
Storica residenza in stile rinascimentale della nobile famiglia Volpano, passata successivamente ai Sylos, risale al XV secolo. Fu costruita su una preesistente torre del XII secolo, e completata nel 1501, secondo l’incisione presente sul suo portale realizzato secondo i dettami del tardo-gotico aragonese. Splendide le decorazioni del cortile che raffigurano il mito di Orfeo e mostri marini, mentre personaggi del casato si affiancano a condottieri ed imperatori romani. Sulle logge che si affacciano sul cortile sono affrescati gli stemmi delle due famiglie.
Fu costruita nel XVI secolo e ricostruita nel secolo successivo. Alla bella facciata rinascimentale si sono aggiunti nel tempo vari altri elementi: un dipinto che rappresenta i santi protettori di Bitonto; lo stemma dei Savoia in alto, che risale al 1551, quando la città si affrancò dal feudalesimo; il vano dell’orologio, che è invece del ‘900.
Risale al XIV secolo e faceva parte di un complesso difensivo e di avvistamento di ben ventotto torri. Realizzata in bugnato, è alta 24 metri, con un diametro di 16 metri. Le sue mura sono spesse quasi 5 metri. Bella la base a stella che si erge dal fossato.
Fresco di restauro, il Torrione Angioino ospita attualmente opere d’arte contemporanea, a partire dalla collezione donata dall’artista Matteo Masiello
Posta su di una piccola altura, la città è conosciuta per il suo olio è per le varie opere d’arte di cui dispone. Il borgo antico con piccole e tortuose vie sulle quali si affacciano edifici in pietra, è separato dalla parte più moderna da quattro vie alberate chiamato “lo stradone”. La città di origini molto antiche come tutte le città della zona, subì le invasioni e le distruzioni dei Goti, dei Longobardi e dei Saraceni per poi divenire domino di Federico II di Svevia e passare poi sotto la dominazione Angioina. Interessante il centro storico cittadino dove spiccano la Torre dell’orologio, cinquecenteschi palazzi in pietra e diverse chiese barocche.
costruita nel XII secolo, la cattedrale ha subito diverse modifiche nel corso dei secoli. Considerata un bell’esempio di architettura romanica pugliese, dispone di una facciata a capanna con tre portali di cui quello centrale lavorato con bassorilievi raffiguranti leoni, grifi alati, i simboli degli evangelisti gli apostoli. Il portale centrale è sovrastato da una bifora e da un bel rosone. L’interno a tre navate divise da colonne è a croce latina con volte a crociera. Sotto la cattedrale vi è un percorso che evidenzia le origini romane della città. Poco distante dalla chiesa vi è la grotta di San Cleto, databile intorno al I-II secolo d.C.
Il museo, ospitato nell'omonimo palazzo, racchiude in quattro sale un’importante raccolta di reperti provenienti da centri della Magna Grecia. Tra questi spiccano le ceramiche e i bicchieri dal corpo a forma umana o di animale.
Posto nel comune di Andria a pochi chilometri da Ruvo, il castello è uno dei massimi esempi di arte e di ingegno del periodo federiciano. Considerato un capolavoro di architettura medioevale per la perfezione delle sue forme e per la perfetta fusione di vari elementi culturali, il castello è stato inserito nel 1996 tra il patrimonio dell’UNESCO. Costruito per volere di Federico II nel 1240 su di un’altura dalla quale domina le Murge, il castello si contraddistingue per il ricorrente utilizzo del numero otto, simbolo dell’unione tra Dio e l’Uomo: ottagonale è, infatti, la forma del castello; otto sono le torri di forma ottagonale che lo circondano; ottagonale è il cortile interno sul quale si aprono otto stanze per piano e ottagonale, infine, era la vasca di marmo bianco posta al centro del cortile che secondo la leggenda rappresentava il Sacro Graal. Le stanze anticamente erano affrescate e ornate di marmi, che furono rimossi nel ‘600 e utilizzati per altre costruzioni. Non è tuttora chiaro l’utilizzo che Federico II intendeva fare del castello. Dall'analisi dei criteri di edificazioni sembra da escludersi l'elemento difensivo. Pensava ad un maniero di caccia? a una dimora che esaltasse il suo potere politico? oppure a un tempio dedicato al sapere, ipotesi che giustificherebbe l'abbondanza di di simboli esoterici che caratterizza il castello? Si sa per certo che per un lungo periodo venne utilizzato a carcere e, successivamente, come ricovero di pastori, briganti e profughi politici.
Sin dall’antichità la città ha rivestito un’importante ruolo commerciale e agricolo grazie alla sua posizione strategica e al suo porto commerciale, godendo della vicinanza della vicina Canosa. In seguito alla distruzione di Canosa prima e della vicina Bari poi, la città ne accolse la popolazione, divenendo un vivace centro commerciale sia sotto il dominio normanno e sia sotto quello di Federico II di Svevia. Fu terra di passaggio per le crociate in Terra Santa, ma anche importante porto per i commerci verso l’oriente e il resto del Mediterraneo. Durante la dominazione Angioina, grazie anche alla sua flotta, la città riuscì a mantenere la sua floridezza economica e i favori del Re. Nel febbraio del 1503 la città fu teatro della famosa disfida di Barletta, durante la quale i cavalieri Italiani si scontrarono e vinsero quelli Francesi. Durante il dominio Borbonico iniziò invece per Barletta un lento ed inesorabile periodo di decadenza, dovuto malgoverno e aggravato da una serie di sfortunati eventi naturali, tra cui una drammatica pestilenza ed alcuni terremoti, che si protrasse fino agli inizi dell’ottocento.
Il nucleo originario del castello venne costruito nell'XI secolo dai normanni. In epoche successive l’edificio subì una serie di modifiche e ampliamenti. Tra gli interventi più importanti si collocano sicuramente quelli voluti da Federico II e da Carlo I d’Angiò. A Federico II si deve la costruzione dell’ala Federiciana, La chiesa di San Giacomo, e le finestre ogivali con lunette nelle quali è scolpito il simbolo dell’aquila. A Carlo I si deve, invece, la forma attuale della fortezza il cui progetto di ampliamento e fortificazione venne affidato a Pierre d’Angicourt. Alla dinastia Aragonese si deve, infine, la fortificazione delle mura di cinta, l’ampliamento del fossato che circonda il castello e la costruzione dei bastioni angolari. Nel periodo delle Crociate il castello fu utilizzato come ricovero per i Cavalieri. Dopo un lungo periodo di abbandono, una complessa opera di restauro ha recentemente recuperato questa splendida struttura, sede attualmente del Museo Civico, che conserva importanti reperti tra i quali un busto in pietra di Federico II. Il castello ospita anche eventi culturali ed importanti mostre temporanee.
La costruzione del Duomo venne iniziata nel XII secolo, ma terminò soltanto nel XIV secolo, dopo varie modifiche del progetto originale, ampliamenti e periodi di ferma. La cattedrale, che è dedicata a Santa Maria Maggiore, è posta nel nucleo antico della città, nelle vicinanze del castello e anch'essa ospitò i cavalieri e i pellegrini in transito, durante il periodo delle crociate. La costruzione si articola in una parte sotterranea ed una parte fuori terra e i diversi stili evidenziano i diversi periodi di costruzione. La facciata, di forme romaniche, è abbellita da un portale in stile rinascimentale sovrastato da una monofora e da un rosone mentre la parte posteriore è in stile gotico. L’interno a tre navate custodisce pregiati elementi scultorei e un tesoro con oreficerie, avori e dipinti.
Ospitata nello splendido palazzo Della Marra, la pinacoteca contiene una importante collezione di opere di Giuseppe De Nittis, donate alla cittadinanza dalla sua vedova, Leontine Gruvelle. Tra i dipinti, appartenenti ai diversi periodi della vita artistica e personale del pittore, spiccano alcuni dei suoi capolavori, come Colazione in Giardino e Il Salotto della Principessa Matilde Bonaparte.
A proposito di De Nittis
Giuseppe De Nittis nacque a Barletta nel 1846, figlio di Don Raffaele De Nittis e Donna Teresa Emanuela Barracchia. Rimasto orfano in tenera età, venne allevato dai nonni paterni, fino a quando nel 1861, si iscrisse all'Accademia delle belle Arti di Napoli. Espulso due anni dopo, fondò nel 1864 la Scuola di Resina, corrente italiana del Realismo. Nel 1866 si avvicinò ai Macchiaioli. Nel 1867 si trasferì a Parigi dove, due anni più tardi, sposò Léontine Lucile Gruvelle. Nel 1869 espose per la prima volta al Salon, ma fu all'esposizione del 1872 che riscosse un grande successo grazie anche alla tela "Una strada da Brindisi a Barletta". L'Esposizione Internazionale di Parigi del 1878 riservò al pittore grandi onori, al punto da essere insignito della Legion d'Onore. L'artista morì nel 1884 in seguito ad un ictus cerebrale. Tra le sue opere più celebri ricordiamo: Colazione in giardino, Spiaggia presso Barletta, Ponte sulla Senna, Signora con il cane,
Si tratta di un’imponente statua in bronzo del IV secolo d.C., proveniente da Costantinopoli. Molte le ipotesi sul personaggio raffigurato. Le più accreditate sostengono Valentiano I e Onorio. Quello che sembra accertato è che parte del bronzo sia stato asportato e riutilizzato per costruire campane.
Edificato nel XII secolo in forme romaniche, risente di influenze del Gotico Francese e rinascimentali, come il bel portale. L’interno è a tre navate, divise da pilastri cruciformi, che sorreggono belle volte a crociera. Importanti gli affreschi del XIII secolo, il fonte battesimale del ‘200 e una tavola raffigurante la Madonna con Bambino in stile bizantino. Di notevole valore il tesoro custodito nella cappella.
L'altissimo livello turistico raggiunto dalla regione permette di trovare una sistemazione anche prenotando giorno per giorno, tra le strutture provate da noi:
Barletta, Hotel dei Cavalieri: la catena Best Western si conferma ancora una volta all’altezza delle aspettative. Le belle stanze, la buona colazione e il servizio attento fanno sorvolare sulla collocazione periferica dell’albergo, posto a nord, in zona industriale. Sorprendente la qualità del suo ristorante. Vai al Sito
Trani, B&B Centro Storico, Via Leopardi 28: location suggestiva e in ottima posizione centrale. Il B&B si trova in un antico convento, con piccolo giardino interno sopraelevato, che merita una visita. Purtroppo attualmente non tutte le stanze valgono il prezzo e la colazione potrebbe essere più curata. Speriamo in interventi efficaci perché il luogo è davvero magnifico.
Carovigno Hotel Villa Jole, Via Ostuni 45 : hotel forse un po’ datato, ma accogliente e confortevole, con giardino e parco giochi per i bambini. Attualmente non ha servizio ristorante. La colazione è essenziale, ma ineccepibile. Il personale è molto disponibile ad accogliere le richieste dei clienti. Vai al Sito
Matera Il piccolo Albergo Via De Sariis 11: scelta ottima. L’albergo è in posizione ideale per visitare i Sassi. E’ piccolo, è vero, ma accogliente e curato. Le stanze non sono grandissime, ma pulite e ben arredate e alcune hanno il balcone. Nuove e funzionali le stanze da bagno. Buona la colazione con crostata e ciambellone fatti in casa e biscotti di forno. Ci è piaciuto anche il bancone bar anni ’60 della piccola stanza per le colazioni. La mancanza di ascensore lo rende purtroppo difficilmente accessibile a persone con problemi motori. Vai al Sito
Di seguito alcuni link che possono essere utili a tutti coloro che viaggiano in camper oppure a coloro che cercano sistemazioni diverse a quelle elencate sopra.
Aree sosta Camper
Campeggi e Agriturismi
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Se volete percorrere l'itinerario in Camper ma non disponete un mezzo di vostra proprietà ecco un link dove troverete il mezzo adatto a voi
Premesso che in Puglia si mangia bene ovunque e che non avrete che l’imbarazzo della scelta, noi abbiamo provato:
Barletta, Hotel dei Cavalieri: non sempre i ristoranti degli alberghi sono una scelta da privilegiare, ma questo vi sorprenderà. La scelta è limitata a tre primi e altrettanti secondi, ma la qualità è ottima, come il servizio. Buon rapporto qualità/prezzo.
Trani, ristorante Pietra Bianca: piazza Re Manfredi 12. Bellissima la sua posizione, tra il Forte e la Cattedrale. Ci ha dato l’impressione di essere molto turistico, non frequentato da locali. Anche se il menù è più ricco della possibilità di scelta reale, il cibo è comunque buono e ben presentato. I prezzi sono un po’ più alti della media.
Carovigno, ristorante Coppula Rossa: Via Pisacane 1. Ottima cena in questo ristorante dove è consigliabile la prenotazione. La sua specialità, da non perdere, sono gli antipasti: vere e proprie leccornie di mare e di terra, in quantità e varietà incredibile. Ottimo il rapporto qualità/prezzo. Assolutamente da consigliare. Noi ci siamo tornati anche la seconda sera del nostro soggiorno a Carovigno.
Matera, Ristorante Alle Fornaci piazza Cesare Firrao 7. Ambiente elegante e gradevole (noi abbiamo mangiato fuori), accoglienza perfetta, cibo ottimo e ben presentato, servizio attento. Già il menù è una sorpresa per la cura e l’attenzione dedicate anche ai particolari. La cucina valorizza i piatti della migliore tradizione regionale e nazionale. Interessante la carta dei vini. Noi abbiamo trovato tutto ottimo, dagli antipasti ai dolci. Sulla ricevuta fiscale c’è una nota: “È caro, sì anzi carissimo perché il pesce fresco che dalla barca viene direttamente in cucina è molto raro, sempre più raro. Ma ha un altro sapore!”. Siamo d’accordo sul sapore, ma non sul conto finale: il rapporto qualità/prezzo è davvero ottimo. Vai al Sito
Per questo viaggio bastano 6 giorni e 5 notti (che potrebbero addirittura essere meno, ma meglio sarebbe averne di più a disposizione): vi faranno scoprire posti incantevoli.