Il borgo di Rivalta e il suo castello costituiscono un imponente complesso fortificato dotato di mura di cinta, un dongione di ingresso altro 36 metri, edifici destinati a botteghe, abitazioni, una chieda e il castello. Il borgo, tra i pochi in Europa, è rimasto completamente intatto mantenendo la sua struttura medioevale nel tempo però molte botteghe ed abitazioni si sono trasformate in bar, taverne e B&B.
Castello: le prime informazioni sul castello risalgono all’anno 1048, quando Enrico II ne fece parzialmente dono al vicino monastero benedettino di San Savino di Piacenza. Nel corso dei successivi 200 anni il castello passò di mano in mano, subendo distruzioni e saccheggi , fino a divenire proprietà della famiglia dei conti Landi, i cui eredi ancora lo vivono. Di forma quadrangolare, il castello nel 1400 subì parecchi interventi di ristrutturazione ed ampliamento, ad opera dell’architetto Solari famoso per aver ristrutturato anche il Cremlino. Tali opere lo trasformarono in una sontuosa residenza nobiliare che si sviluppa attorno ad un elegante cortile, molto bello il parco di impianto settecentesco. Oggi gran parte delle 50 stanze sono visitabili, mentre la parte restante è adibita a residenza privata. Anche in questo castello non potevano mancare leggende di morti, tradimenti e ovviamente fantasmi. Pare infatti siano ben due i fantasmi che vivono nel castello quello di Pietro Zanardi Landi, che ingiustamente privato della sua eredità al fine di vendicarsi tortura tutti i discendenti del ramo illegittimo e il fantasma del cuoco Giuseppe ucciso dal maggiordomo in quanto ne avrebbe insidiato la moglie.
Visite e tariffe: il castello è visitabile nei week-end con visite guidate senza prenotazione, mentre durante la settimana è d’obbligo la prenotazione.
Camper: esiste un parcheggio gratuito per camperisti, mentre le aree sosta attrezzate più vicine sono a Grazzano Visconti e a Bobbio.
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Piacenza, città ricca di storia e tradizioni, situata nel cuore della Bassa Padana, definita da Leonardo da Vinci come “terra di passo” per via della sua posizione al crocevia di ben quattro regioni Emilia, Piemonte Lombardia e Liguria. Attraversata fin dall’antichità da legioni, pellegrini, viandanti, principi, crociati, templari, commercianti ed artisti che ne hanno determinato la sua storia e le sue sorti strategico-militari. Fondata dai Liguri, venne in seguito conquistata dagli Etruschi e dai Celti, per poi divenire colonia romana. Dal 1126 fu libero comune per poi passare sotto il dominio dei Visconti e successivamente dello Stato Pontifico. Nel 1545 divenne capitale del Ducato di Parma e Piacenza sotto il dominio dei Farnese, durante questo periodo la città visse uno dei momenti più felici della sua storia, vennero costruiti palazzi, chiese, castelli e case nobiliari. Successivamente la città passò sotto il dominio dei Borboni e poi degli Asburgo iniziando un lungo periodo di declino. Da vedere:
La piazza prende il nome dai monumenti equestri dedicati a Ranuccio e Alessandro Farnese opera di Francesco Mochi. Attualmente la piazza costituisce il centro politico e sociale della città. Venne aperta nel XII secolo in concomitanza con la costruzione di Palazzo Gotico. Oggi su di essa si affacciano, oltre a Palazzo Gotico, il Palazzo del Governatore, il Collegio dei Mercanti, la Chiesa di San Francesco negozi e punti di ristoro.
Costruito a partire dal 1281, su volere del capo della corporazione dei mercanti Alberto Scoto, per ospitare nella parte porticata adunanze popolari e scambi commerciali, mentre nell’unico grande salone al piano superiore le grandi assemblee. I lavori per la costruzione del palazzo vennero seguite dagli architetti Pietro da Cagnano, Negro de Negri, Gherardo Campanaro e Pietro da Borghetto. La facciata del palazzo, che probabilmente rimase incompiuta, è caratterizzata da una parte inferiore in marmo rosa di Verona ed una parte superiore in cotto rosso. Fa da ornamento una merlatura a coda di rondine con tre torrette e grandi finestroni a balconata.
La costruzione del palazzo iniziò nel 1558 su volere di Ottavio e Margherita Farnese, che ne affidarono il progetto in un primo momento a Francesco Paciotto e successivamente al Vignola. La nuova residenza, secondo il volere dei Farnese, doveva divenire il simbolo della ricchezza e della potenza della nobile casata. Il palazzo subì quindi le alterne vicende delle famiglia e, del grandioso progetto iniziale ne venne portato a compimento solamente una parte. Il palazzo, che non dispone di una vera e propria facciata, si sviluppa su tre piani più un vasto seminterrato. Il pian terreno e il primo piano sono ornati da un elegante loggiato che si affaccia sul cortile interno. Della bellezza e della preziosità degli arredi, degli arazzi, dei quadri e delle porcellane che ornavano quella che fu la residenza della nobile casata fino alla sua estinzione purtroppo non rimane quasi nulla a causa delle razzie effettuate da Carlo di Borbone prima e da Napoleone poi, che arrivò a trasformarla in una caserma militare. Oggi il palazzo ospita i musei civici della città. Al piano terra si trova il museo delle carrozze, al piano ammezzato museo del risorgimento, al piano rialzato l’armeria, la sezione medioevale, i fasti di Alessandro e Paolo III, al primo piano i fasti di Elisabetta, la pinacoteca e la cappella ducale, al secondo piano si trova invece l’archivio di stato.
La piazza costituiva anticamente il centro della vita civile, politica e religiosa della città. Il suo attuale aspetto è dovuto ad un rifacimento avvenuto a metà del 1500 su volere di papa Paolo III Farnese, che voleva dare alla città un aspetto più moderno anche in previsione dell’assegnazione del Ducato al figlio Pierluigi. Al centro della piazza si erge il monumento dell’Immacolata a ricordo del docgma poclamato da Pio IX nel 1854.
Dedicato a Santa Maria Assunta e Santa Giustina, venne iniziato nel 1122 e terminato dopo circa un decennio. La facciata è divisa in due in senso orizzontale, quella più in basso in marmo rosa veronese quella più in alto in arenaria, mentre a livello verticale è tripartita da due pilastri. Tre sono gli ingressi alla chiesa, tutti sormontati da portici a due colonne. Il portico centrale, più grande dei laterali è a sua volta sormontato da un grande rosone., mentre i due laterali sono sormontati da una galleria a colonnine. L’interno è suddiviso in tre navate da massicci pilastri. Alcuni dei pilastri vennero costruiti dalle diverse corporazioni cittadine, distinguibili dalle differenti formelle riportanti la rappresentazione dell’attività. La chiesa è impreziosita da affreschi opera seicentesca di Camillo Procaccini e Ludovico Caracci. Nella cripta sono custoditi i resti di Santa Giustina.
Edificata nel IV secolo d.C. la basilica è dedicata al Santo Patrono della città di cui ne custodisce le reliquie. In passato costituì un punto di riferimento per i pellegrini che percorrevano la via Francigena. A lato della chiesa sorge il famoso “Portico del Paradiso” dove nel 1998 è stata posta la statua di Gregorio X, papa di origini piacentine. La chiesa durante la sua lunga esistenza subì parecchie opere di ristrutturazione che ne hanno alterato la struttura originaria, l’ultimo in ordine di tempo avvenne tra il 1915 e il 1930 ad opera di Giulio Arata. Anche gli interni furono più volte rimaneggiati andando a coprire importanti affreschi e sostituendo i soffitti lignei con volte a crociera.
Se avete un po’ di tempo a disposizione vi consigliamo di iniziare la vostra visita da quella che fu, tra il 1545 e il 1859, la capitale del Ducato cioè Piacenza. Una città ricca di storia e tradizioni, nel cuore della Bassa Padana, definita da Leonardo da Vinci come “terra di passo” per via della sua posizione al crocevia di ben quattro regioni Emilia, Piemonte Lombardia e Liguria. Leggi tutto
I periodi migliori per intraprendere l’escursione sono la primavera e l’inizio autunno, può andare bene anche l’estate, se non soffrite molto il caldo, da evitare l’inverno anche perché alcuni castelli sono chiusi.
Per gustare al meglio l’itinerario servirebbero tre giorni, ma facendo le cose con meno calma è fattibile anche in un week-end . A voi la scelta!
Auto e Camper: la zona, da sempre grande via di passaggio di pellegrini, mercanti e legioni, è facilmente raggiungibile sia arrivando da Nord che da Sud. Coloro che arrivano da SUD possono prendere l’autostrada A1 che collega Milano a Napoli, uscendo a Piacenza Nord, Piacenza Sud oppure Fiorenzuola d’Adda. Da Nord si può arrivare sempre con l’Autostrada A1 partendo da Milano oppure con l’autostrada A21 che collega Torino con Brescia attraversando la Pianura Padana. Piacenza è raggiungibile anche attraverso diverse strade provinciali e statali, sicuramente più lente ma grazie alle quali godrete appieno dei paesaggi.
Aereo: gli aeroporti internazionali più vicini, collegati da quasi tutti gli operatori del settore, sono quelli di Malpensa (120 KM) e Linate (63 Km), altrimenti ci sono gli aeroporti di Parma (70 km) e Bologna (153 km) dove però i voli sono più limitati e anche gli operatori.
Il percorso suggerito non è fattibile con i mezzi pubblici, è quindi necessario essere muniti di automobile, camper oppure molto adatte le moto. Se siete degli sportivi potrete anche muovervi in bicicletta, tenete però in considerazione che per raggiungere alcuni borghi bisogna scavallare dei colli.
La zona pullula di agriturismi e B&B di buona qualità, a Grazzano Visconti potrete trovare tipici appartamenti in affitto per brevi periodi. Noi abbiamo provato l’agriturismo Masqudiera di Fiorenzuola d’Adda, un luogo di grande fascino, adatto a coloro che pur amando la vita di campagna non sono disposti a rinunciare al confort. Vai all'elenco hotel
Camper: nella zona si trovano diversi parcheggi ed aree sosta camper, a Grazzano Visconti è possibile parcheggiare al di fuori delle mura del borgo (a pagamento) oppure arrivando da Vigolzone (SS654 sulla destra) all'inizio del borgo. A Castell’Arquato esiste un parcheggio gratuito nel piazzale antistante il cimitero con fontanella acqua, da qui si raggiunge facilmente il centro a piedi. A Bobbio esiste un parcheggio sterrato in mezzo agli alberi, appena superato il Ponte Gobbo sulle rive del Trebbia collegato al paese da un sottopasso. A Vigoleno esistono vari parcheggi gratuiti adatti anche ai camper. Clicca qui per tutte le aree sosta in zona e per tutti i campeggi.
La cucina del territorio, quasi sempre di altissima qualità, offre una moltidudine di piatti che uniscono la tradizionale cucina povera contadina a quella più ricca tipica della corti. Piacenza e il suo territorio sono il cuore di una vera e propria Food Valley nella quale si producono alimenti di fama internazionale come il Parmigiano Reggiano, il prosciutto di Parma, la coppa Piacentina, il culatello di Zibello, ma anche vini quali il Gutturnio, la Bonarda, l’Ortrugo e il Barbera, che potrete acquistare nelle botteghe tipiche o direttamente dai produttori. A Castell’Arquato ad esempio non mancate una visita al salumificio la Rocca ed alla sua Bottega del Suino d’oro, sicuramente non uscirete a mani vuote! Assolutamente da provare sono lo gnocco fritto accompagnato dai salumi tipici della zona, i panzerotti piacentini, i tortelli di zucca, gli anolini, la coppa arrosto e picùla ad caval, carne di cavallo trita in umido ottima assieme alla polenta.
Un week end nel Piacentino, dove le dolci colline abbracciano caratteristici borghi medioevali, saprà regalarvi momenti veramente unici. Partite alla scoperta di raffinati manieri ricchi di arte, battaglie e leggende, luoghi in cui la storia si incontra con la tradizione gastronomica, in un connubio di sapori forti e al contempo raffinati, frutto della centenaria tradizione contadina, il tutto senza dimenticare gli eccellenti vini. Questi luoghi non deluderanno né gli amanti dell’arte né gli amanti della natura che potranno godere di una varietà di paesaggi di suggestiva bellezza. Particolare contributo lo danno il fiume Po e il Trebbia, nei cui meandri si incontrano saliceti, boschi umidi, canneti, ninfe gialle, castagne d’acqua e animali come aironi cinerini, usignoli, gallinelle d'acqua, folaghe e germani reali. In queste terre sono nati letterati, musicisti e combattenti che hanno contribuito a rendere ancor più grande la storia di Piacenza e del suo ducato, solo per fare alcuni esempi citiamo Giuseppe Verdi, Luchino Visconti, Annibale Barca, Margherita d’Austria e Pier Luigi Farnese. L'itinerario che vi proponiamo è solamente una selezione tra i numerosi borghi e castelli che costellano il territorio, appositamente pensato per vedere il massimo in poco tempo.
Chi proviene da Nord raggiunge Grosseto prendendo l’autostrada A12 (Genova-Livorno) sino all’uscita di Rosignano Marittimo e proseguire lungo l’Aurelia (SS-1), che scende lungo il litorale costeggiando il parco della Maremma per uscire a Grosseto.
Arrivando da Firenze conviene percorrere la superstrada Firenze-Siena e, una volta a Siena, prendere la E78 in direzione Grosseto.
Venendo da Roma occorre prendere prima l’autostrada A12 in direzione Civitavecchia e poi l’Aurelia (SS-1)in direzione Grosseto.
Posta al centro della città, la stazione di Grosseto si trova sulle linee ferroviere Pisa-Piombino e Siena-Grosseto.
Castiglione della Pescaia è un bellissimo borgo marinaro che domina dall'alto del castello aragonese la costa sottostante. La parte alta del paese affascina per la sua allure medioevale, la parte bassa, sorta intorno al porto-canale, è più recente, luogo del passeggio serale e dello shopping. Durante la stagione estiva Castiglione è affollatissima: bisogna lottare per mangiare un gelato o sedersi ai tavoli dei dehor di bar e localini.
In epoca medievale, il porto era strategico per il litorale maremmano, tanto da essere "protetto" dall'imponente complesso fortificato del castello, che sorge sulla vetta del promontorio sovrastante.
Durante il secolo scorso, il porto è divenuto uno dei principali della zona come approdo turistico.
Il Castello
Attraversate la porta Urbica salendo strette inerpicate viuzze si arriva al castello da cui potrete godere dello splendido panorama sull'arcipelago Toscano anche se è proprietà privata e quindi non visitabile.
Sempre all'interno delle mura si trova Palazzo Centurioni, l'edificio monumentale più antico del borgo; all'epoca del dominio della famiglia Medici, era il centro della vita amministrativa locale. Di recente è stato restaurato ed vi si allestiscono numerose mostre.
Ricordiamo infine che nel cimitero di Castiglione della Pescaia è sepolto Italo Calvino, uno dei principali esponenti del panorama letterario italiano.
Costruita nel 1765 dal granduca Leopoldo di Lorena, regolava con le sue chiuse il flusso di acqua marina e fluviale; oggi è un interessante museo multimediale dove si possono osservare tutti gli animali che popolano questa area.
Eccezionale area umida che ospita un raro ecosistema.
Lo splendido borgo che si affaccia sul mar ligure, regalando scenari mozzafiato, è conosciuto, non solo a livello nazionale, come il "paese del velluto". Questo grazie alla produzione di velluti artigianali che si sviluppò nel borgo a partire dal 1500, quando tutta la Liguria, in particolare Genova eccelleva per la produzione di tessuti. Zoagli si specializzò appunto nella tessitura di velluti in seta pura, acquisendo fama a livello internazionale. Gli splendidi tessuti vennero utilizzati per la fabbricazione di preziosi abiti per nobili dame, ma soprattutto per l'arredamento di dimore nobiliari e corti europee. Ancora oggi, come un tempo, le abili tessitrici, perchè era alle donne che veniva demandato questo lavoro, custodiscono con cura gli antichi segreti della tessitura artigiana, fabbricando tessuti dalle qualità eccezionali. Dai laboratori artigiani del territorio di Zoagli escono, gli unici velluti che possono fregiarsi di questo nome, la loro realizzazione è considerata un'opera di artigianato artistico con un elevato valore estetico, che si deve ispirate a modelli, decori e stili che costituiscono gli elementi caratteristici del patrimonio storico e culturale. I velluti di Zoagli possono essere prodotti solamente con telai manuali, dei quali ne rimangono al giorno d'oggi pochi esemplari e devono corrispondere alle caratteristiche descritte nell'apposito disciplinare. La produzione di tali stoffe è piuttosto lunga e complicata: si inizia dalla tintura per passare alla preparazione dei rocchetti, dall'orditura del telaio per terminare con la tessitura vera e propria. Punta di diamante della produzione è il famoso velluto liscio "Nero di Genova".
Tra i laboratori che ancora oggi producono i velluti vi segnaliamo: Seterie Cordani, i cui velluti hanno raggiunto anche la Casa Bianca, è possibile fare un tour guidato dei loro laboratori, seguirne le fasi di produzione, ammirare i loro velluti e acquistarli nel loro show room. Altro famoso laboratorio cittadino è la seteria Gaggioli
Il prezioso tessuto veniva lavorato a Genova già nel 1400 ma, per eludere le limitazioni di produzione imposte dalla potente Corporazione Tessile, la produzione nel 1500 raggiunse il borgo di Lorsica. Qui in breve tempo nacquero botteghe artigiane la cui produzione, di altissima qualità, venne utilizzata per arredare moltissime corti europee e sontuose dimore nobiliari. A Lorsica, oggi come una volta, si produce il prezioso tessuto con metodi artigianali, in una tradizione che si tramanda da generazione in generazione con risultati assolutamente straordinari. Per ottenere una pezza alta 1,30 metri, dove il tessuto non appaia piatto, ma in rilievo nel dritto e concavo sul rovescio, devono passare nei licci (parte del telaio che permette il movimento dei fili di ordito) ben 15.000 fili. Ai giorni nostri si può fregiare del nome di Damasco di Lorsica solamente il tessuto prodotto nel territorio del comune, per realizzare il quale l'artigiano deve seguire e applicare le regole esposte in un apposito disciplinare redatto dall'associazione artigiani del luogo. La produzione del damasco inizia con la lavorazione del filo grezzo ottenuto dalla filatura, si passa poi alla tintura in base alle nuances desiderate, seguono l'incannaggio, l'orditura, la piegatura, il rimettaggio o annodatura, la tessitura e la pulitura della stoffa.
Indispensabile per la tessitura del damasco è il "telaio a navetta" che deve essere corredato da una Jacquard e da una Ratiera. Cinque sono le tipologie di tessuto prodotte e disciplinate dall'associazione artigiani di Lorsica:
Damasco: realizzato con filato di seta pura o cotone tinto. I fili dell´ordito devono essere almeno 100 al cm per il damasco semplice di seta, 200 per quello doppio di seta e 30 per quello di cotone, più le cimose che devono essere rispettivamente di almeno 180 fili per il damasco di seta e di almeno 90 fili per quello di cotone. Il Damasco di Lorsica è realizzato con un´altezza compresa tra i 120 cm e i 130 cm. I disegni sono realizzati con l´ausilio di una Jacquard e la tessitura è fatta con un telaio a navetta. Le cimose sono rigorosamente chiuse tessute e non tagliate. La trama può essere anche in colore contrastante, in oro o in argento.
Lampasso: tessuto composto da 2 orditi di seta o cotone ed almeno 2 trame in seta o in lino nel medesimo colore o a più colori. L´ordito è fatto in seta o cotone con un numero di almeno 200 fili al cm per la seta e di almeno 40 fili al cm per il cotone, realizzato in altezza pari a 60 cm (sia per la seta che per il cotone), sempre con telaio con cambio navetta ed una Jacquard per la realizzazione del disegno.
Broccatello: tessuto composto da 2 orditi di seta con almeno 95 fili al cm e da 2 diverse serie di trame che possono essere in seta o in cotone. Realizzato con un´altezza pari a 60 cm, e con un telaio a cambio navetta ed una Jacquard per la realizzazione del disegno.
Nastro Canettè: tessuto composto da 1 ordito in seta con almeno 90 fili al cm ed una trama in seta o cotone o argento o oro, realizzato in varie altezze. Tessuto con Telaio a Navetta con l´ausilio della Ratiera.
Tele per Macramè: tessuto a grana di riso realizzato in lino sia in trama che in ordito, caratterizzato da una bordura verticale e orizzontale e da una "Frangia" ovvero lo stesso filo dell´ordito, in misura variabile, srotolato senza essere tessuto. Realizzato in diverse altezze e anch´esso tessuto con telaio a navetta con l´ausilio della Ratiera. Utilizzato per l´esclusiva realizzazione del vero Macramè Ligure.
Il Museo del Damasco allestito in un edificio a quattro piani situato nel centro del paese, offre una testimonianza della produzione del pregiati tessuti quali damaschi, broccati, lampassi, tele d'oro e d'argento prodotti nel borgo e degli strumenti utilizzati per la loro fabbricazione.
Conosciuta anche con il nome di "chiaravina" la sedia di Chiavari è una sedia leggera creata per la prima volta nel 1807 dall'ebanista Giuseppe Gaetano Descalzi. La prima creata dal'ebanista fu una semplificazione ed una rielaborazione di alcune sedie francesi di stile impero. La sedia ebbe sin da subito un enorme successo al punto che alla morte di Descalzi, avvenuta nel 1855, nella sua azienda si contavano ben 600 operai addetti alla produzione. La seggiola fu molto apprezzata da Francesco I re di Napoli, che dopo aver visitato il laboratorio di Descalzi ne ordinò un centinaio per la reggia di Caserta, da Carlo Alberto di Savoia che concesse l'onore alla società di fregiarsi con il titolo di "regia fabbrica", e da Napoleone III che nominò Descalzi suo fornitore ufficiale. Anche l'artista Antonio Canova rimase affascinato dalla sedia.
Caratteristiche principali di questa seduta sono la sua leggerezza e la sua resistenza, la prima ottenuta attraverso sezioni strutturali, ogni componente della sedia è cioè dimensionato in base alle sollecitazioni che dovrà sostenere, mentre la seconda è dovuta all'ingegnoso sistema di incastri messo a punto dall'ebanista. Le sedie venivano originariamente costruite con legno di faggio, frassino, ciliegio selvatico, acero, mentre la seduta veniva realizzata con fili di salice palustre. Questi fili venivano appositamente lavorati e intrecciati a mano dalle donne liguri, in modo da ottenere disegni a quadri, a spighe o a lisca di pesce. A volte venivano inseriti anche dei fili di lana per migliorarne il disegno. Tra i modelli originali troviamo il "campanino", la "tre archi", la "parigina", la "filippa" e la "spadina". Nel 1955 Giò Ponti trasse ispirazione dalla chiavarina per la sua superleggera.
Ancora oggi nella zona si trovano molte aziende e laboratori artigiani che producono le famose sedie adattandole alle esigenze ed ai gusti del tempo, mantenendo però la stessa eleganza, robustezza e leggerezza che la resero famosa nel mondo. Possono fregiarsi del nome di "sedia di Chiavari" solamente le sedie prodotte nei comuni di Chiavari, Lavagna, Carasco, Cogomo e Leivi.
Il vocabolo, di origine latina, viene utilizzato in oreficeria per indicare una particolare tecnica di lavorazione ad intreccio di fili d'oro e d'argento, i quali vengono fissati su di un supporto di materiale prezioso formando l'effetto di una struttura traforata che imita l'arabesco. La preziosità di tali oggetti non sta tanto nei materiali utilizzati quanto nella minuziosità e pazienza con cui vengono svolti questi lavori, divenendo delle vere e proprie opere d'arte.
Esempi di questa tecnica di lavorazione si trovano già in epoca etrusca, mentre in epoca romana abbiamo i primi gioielli ottenuti con filigrana a giorno, cioè senza l'utilizzo della lamina di base. La produzione della filigrana non cessò durante le invasioni barbariche conoscendo nuovo lustro intorno al 1200. Fu con il ritorno dei crociati dalla Terra Santa, che la lavorazione della filigrana si diffuse anche in Liguria. Tra il 1700 e il 1800 moltissime furono le famiglie liguri che si impegnarono in questa tecnica di produzione, raggiungendo risultati di altissimo livello. A Campo Ligure venne aperto il primo laboratorio di filigrana nel 1884 dal maestro Antonio Olivieri, tale tecnica si diffuse sul territorio cittadino al punto che i laboratori divennero ben presto 33. Oggi gli artigiani di Campo Ligure lavorano la filigrana con le stesse tecniche, la stessa precisione e la stessa pazienza di un tempo, al punto da essere considerati, ormai da anni, gli unici eredi dei grandi maestri che hanno dato lustro a quest'arte. Nulla è mutato nei loro laboratori ove si seguono ancora le antiche fasi di lavorazione che sono:
la Fusione: operazione che permette la trasformazione del metallo grezzo in verghe destinate alla lavorazione
Trafilatura: le verghe vengono assottigliate in lunghi fili delle dimensione di 2 millimetri per essere poi lavorate. Per rendere il materiale più malleabile le verghe vengono a loro volta ricotte, portandole ad una temperatura leggermente inferiore a quella di fusione, ottenendo un prodotto simile ad un filo.
Torcitura:operazione con la quale due fili d'argento vengono attorcigliati in una treccia in modo da ottenere il "filo granato"
Laminatura: passaggio del filo granato sotto appositi rulli che gli conferiscono il tipico aspetto dentellato e granuloso
Scafatura: utilizzando fili di una speciale lega in rame e argento l'oggetto viene sagomato in base al disegno desiderato.
Riempitura: lo scafo o sagoma viene riempita con corfe e strutture ottenute dalla lavorazione dei sottilissimi fili precedentemente creati.
Assemblaggio e rifinitura: dopo aver creato i singoli pezzi che costituiscono l'oggetto essi vengono assemblati e rifiniti attraverso la fase di imbiancatura.
Visitando Albisola vi renderete conto di come la città sia strettamente legata alla ceramica, grazie alla quale può essere considerata un vero e proprio museo a cielo aperto. Grazie alla presenza nel territorio di numerosi bacini argillosi, la lavorazione della ceramica era molto diffusa nel territorio ligure già a partire dal XII secolo. Tale lavorazione giunse ad Albisola solamente nel XV secolo, trovando da subito terreno fertile, grazie alla presenza di numerosi depositi di argilla rossa, cave di terra bianca e la vicinanza al mare, che ne facilitava lo smercio del prodotto finito. Caratterizzata inizialmente da un'ornamentazione basata sulle tonalità del blu-cobalto divenne in seguito multicolore con l'inserimento di motivi orientali quali uccelli, pagode, insetti, cani e cerbiatti. Della ceramica di Albisola si possono distinguere essenzialmente due tipologie di produzione:
- le terrecotte ingobbiate e graffite: caratterizzate da una particolare tecnica di copertura e decorazione della terracotta o ceramica basata sul rivestimento a base argillosa dell'oggetto prodotto. Questo tipo di lavorazione si articola in due momenti: modellamento dell'oggetto e ricopertura dello stesso con uno strato di rivestimento ottenuto sciogliendo in acqua e graffito terra bianca. Dopo una prima cottura l'oggetto viene dipinto, ricoperto di vernice e cotto una seconda volta.
- le maioliche: l'oggetto viene subito cotto una prima volta, immerso in un bagno di smalto o maiolica, decorato e cotto una seconda volta.
La sua affermazione, non solo nei paesi europei ma anche nel nuovo mondo, avvenne però nel XVI secolo, grazie soprattutto alla qualità degli impasti, alla brillantezza degli smalti e alla bellezza dei decori. In questo periodo, dalle botteghe artigiane di Albisola escono grandi servizi da tavola per le corti e per le famiglie aristocratiche d’Europa, splendidi vasi da farmacia e oggetti d'arredamento che orneranno le dimore dei nobili di tutta Europa. Sempre nel XVI secolo si diffonde la produzione di "laggioni" o piastrelle per il rivestimento di pavimenti o pareti. Le piastrelle sono caratterizzate da colori vivaci e brillanti, con decori derivanti in parte dall'arte rinascimentale ed in parte dall'arte islamica. Esempi di questa produzione sono ancora visibili nel pavimento della casa di riposo di Albisola Superiore, nella chiesa parrocchiale di Albisola Marina e nel Museo della Maiolica. Anche nel '700 la produzione di ceramica mantiene standard molto elevati arricchendosi di nuove forme, decori e tecniche di produzione. E' infatti intorno alla metà del 1700 che si diffonde una nuova tipologia di terracotta chiamata a taches noires, che avrà una grossa diffusione in Italia ed Europa. Questo nuovo tipo di terracotta viene decorata sotto vernice con strisce tracciate liberamente con un pennello intriso di manganese.
Nel novecento, grazie al sodalizio tra artisti italiani e stranieri, Albisola diviene un importante protagonista dell'arte contemporanea, affiancando alla tradizionale produzione quella di artisti contemporanei di fama mondiale le cui opere sono visibili nelle botteghe artigiane, nelle gallerie d'arte, in collezioni pubbliche, in rivestimenti di edifici, in parchi, giardini, passeggiate e arredi urbani.
Caratteristica della produzione albisolese sono i marchi di fabbrica, cioè i marchi distintivi utilizzati dalle varie famiglie per distinguere la loro produzione da quella di un'altra azienda. Esempio la famiglia Grosso aveva una riproduzione della Lanterna di Genova, i Pescio un pesciolino, i Conrado una corona. Altri marchi appartenuti a famiglie non ben identificate sono lo scudo crociato, la stella a cinque punte e singole lettere come la G o la S.
Esempi della produzione artistica delle ceramiche di albisola si possono ammirare nel Museo della Ceramica Manlio Trucco
Grosseto è posta al centro della pianura maremmana. Attraversata dal fiume Ombrone, dista solo pochi chilometri dal mare. La città antica è racchiusa dalle mura medicee, tra le poche d’Italia a conservare la struttura originaria, che dai bastioni consente di apprezzare l’abitato circostante.
Grosseto è il punto di partenza consigliato per la visita delle più conosciute località turistiche della Maremma.
Chi sceglie una vacanza di mare a Grosseto può trovare spiagge bellissime ed un mare pulito premiato anno dopo anno con la Bandiera Blu e vaste pinete che le incorniciano: Marina di Grosseto e Principina al Mare.
La famiglia dei Medici, nel quindicesimo secolo, ordinò la costruzione della cinta muraria che si protrasse per circa venti anni: 2900 metri di mura con un perimetro a pianta esagonale.
Sei sono i bastioni angolari della fortezza a pianta pentagonale con due baluardi rivolti verso l'interno che ricomprende il più antico Cassero Senese.
Nella parte centrale della nuova Fortezza Medicea, accanto al cassero sede del governatore militare, sorsero le caserme, un ospedale, i magazzini per la conservazione delle derrate alimentari, la cappella di Santa Barbara e al centro di questo grande spazio rettangolare chiamato Piazza d'Armi, fu costruito un pozzo dalla forma ottagonale che prendeva l'acqua dall'enorme cisterna sottostante.
Piazza Dante, nota anche come piazza delle Catene, è la piazza principale di Grosseto, sede dei più importanti edifici della città.
La piazza, dalla caratteristica forma trapezoidale, è costituita da due aree che si ricongiungono l'una con l'altra dinanzi al sagrato della cattedral
Al centro un'area leggermente rialzata, sotto la quale si trovava una cisterna, su si trova il "Canapone", monumento raffigurante il granduca Leopoldo II di Lorena.
Intitolata a San Lorenzo, patrono della città, la cattedrale sorse sulle fondamenta della più antica chiesa di Santa Maria Assunta, al tempo del trasferimento della diocesi da Roselle a Grosseto. La costruzione della chiesa, in stile gotico fu iniziata alla fine del Duecento, subì numerose interruzioni, rimaneggiamenti e rifacimenti che furono terminarono solo alla fine del 1800.
La facciata del Duomo, caratterizzata da fasce di marmo bicrome è affiancata dal campanile quattrocentesco. Il fianco destro solamente mantiene il puro stile senese, con il suo portale dalle formelle a bassorilievo, le bifore e i tabernacoli su pilastri.
La Maremma, l’area più a sud della Toscana, coincide con la Provincia di Grosseto.
L'itinerario per un fine settimana in Maremma parte da Grosseto, ci porta a Castiglione della Pescaia, nota località marina e da qui a Vetulonia importante centro etrusco, a Braccagni e infine al Parco Naturale della Maremma, sui monti dell'Uccellina.
Grosseto, Capoluogo della Maremma, è la città che ci farà da base in questo soggiorno. Gli amanti del cicloturismo, attraverso una fitta rete di piste ciclabili, raggiungeranno le altre mete di questo classico itinerario i cui luoghi resteranno nel cuore per anni, soprattutto se visitati in primavera e autunno.
Gli amanti della storia e dell’archeologia potranno visitare città uniche, siti e necropoli etrusco-romane oltre a scoprire borghi medievali posti su antiche vie.