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Cenni Storici

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Argentina Argentina Guilia Bonanni

I primi insediamenti umani in Argentina sono stati rinvenuti in Patagonia e risalgono all’11.000 a.C. Nel I secolo d.C. la regione delle Ande Occidentali fu abitata da diverse civiltà che coltivavano mais. Nel 1480 l’impero Inca conquistò la parte nord-occidentale del Paese, mentre nell’area nord-orientale, i Guaranì svilupparono la coltivazione della yucca e delle patate dolci. Le aree centrali e meridionali dell’Argentina vennero dominate da popolazioni nomadi, unificate nel XVII secolo dai Mapuche. I primi esploratori europei raggiunsero l’Argentina nel 1516.

La Spagna nel 1537 fondò la città di Cordoba e dal 1580 vi fu una sua colonia nella zona dove, più tardi, sarà fondata Buenos Aires, zona caratterizzata dalla pampa, dove vivevano solo tribù nomadi, che si spostavano cacciando, pescando e coltivando il mais. L’Impero Britannico tentò per due volte, nel 1806 e nel 1807, di invadere Buenos Aires, ma fu respinto dalla popolazione.

Nel 1810, dopo la sconfitta inflitta da Napoleone al re Ferdinando VII di Spagna, i cittadini di Buenos Aires diedero vita alla cosiddetta Rivoluzione di maggio e crearono un proprio governo, anche se l’indipendenza vera e propria sarà dichiarata solo nel 1816, quando fu promulgata la Costituzione e stabilita la capitale a Buenos Aires.
Nel 1829 salì al potere il dittatore Juan Manuel de Rosas, che trasformò l’Argentina in un Paese con una economia basata sull’allevamento.
Nel 1859 ci fu una guerra civile, durata tre anni, che portò alla presidenza Bartolomé Mitre.
Nel 1880 ebbe inizio la cosiddetta “Conquista del deserto” che portò allo sterminio di quello che restava delle popolazioni indigene della Pampa, in nome di una Patagonia che si voleva abitata esclusivamente da bianchi, ispanici, cattolici.
La politica estera isolazionista dell’Argentina si aprì, durante la presidenza di Julio Argentino Roca, al confronto e allo scambio con gli altri Paesi, dando la possibilità a milioni di immigrati europei di stabilirsi e lavorare nel Paese. Tra il 1880 e il 1930, grazie ad una sempre maggiore sviluppo e prosperità, la popolazione aumentò di ben sette volte. Nel 1946 divenne presidente il generale Juan Perón, demagogo e dittatore, dotato di grande carisma, potenziato anche dalla collaborazione della sua seconda moglie, Evita, che porterà il peronismo a permeare la cultura e a lasciare una pesante eredità sull’ideologia dei partiti politici argentini. Nel 1955 un colpo di stato della Marina Militare costrinse Perón alla fuga e all’esilio, prima in Paraguay, poi nella Spagna Franchista.

Nel ventennio 1950-1970 l’economia argentina si rafforzò, grazie a politiche sempre più protezioniste. Nel frattempo accrebbero i contrasti politici interni e i militari presero più volte il potere.
Nel 1973 furono ristabilite le libere elezioni e Perón riuscì a tornare al potere. Un anno dopo, alla sua morte, gli successe la sua terza moglie Isabel per due anni caratterizzati da fortissimi conflitti e azioni di guerriglia urbana che giustificherà dapprima l’ingresso dei militari al governo poi, nel 1976, al golpe che destituì Isabel Peròn e portò al potere il generale Jorge. R. Videla. Dal 1978 al 1983 le Forze Armate attuarono il cosiddetto Processo di Riorganizzazione Nazionale. Durissima la repressione dell’opposizione (sia quella di sinistra, sia quella peronista). Si calcola che furono 30.000 le persone fatte scomparire in questo periodo, caratterizzato anche dal coinvolgimento dei servizi segreti sudamericani e statunitensi, preoccupati dalla possibilità di governi filosovietici in America del Sud. I desaparecidos non furono l’unica tragedia: ad essi si affiancarono migliaia di bambini, loro figli, tolti alle famiglie e dati in adozione a simpatizzanti del regime

Molti dei capi militari di quella che fu definita “la guerra sporca” provenivano da centri di addestramento finanziati dagli USA, così come i dittatori argentini Leopoldo Galtieri e Roberto E. Viola.
L’aggravarsi dei problemi economici, le accuse di corruzione, la condanna internazionale della sistemica violazione dei diritti umani uniti alla sconfitta subita nella guerra con il Regno Unito per le isole Falkland portò infine alla caduta del regime militare e alla fine della dittatura nel 1982.
La democrazia venne ripristinata nel Paese a partire dal 1983: il governo di Raoúl Alfonsín processò i capi militari e cercò di dar conto dei desaparecidos, ma la situazione economica rimase preoccupante, e portò l’Argentina ad elezioni anticipate. Nel 1991 fu eletto presidente Carlos Menem, che tentò di risollevare la situazione del Paese ricorrendo a privatizzazioni, ed intervenendo sul cambio della moneta nazionale. Le riforme portarono ad un aumento degli investimenti privati stranieri e ad una grande recessione, che raggiunse il culmine alla fine degli anni novanta, tra disoccupazione, corruzione e debito estero ai massimi livelli. La crisi finanziaria asiatica del 1998 causò la fuoriuscita di capitale che portò alla crisi del 2001 che scatenò pesanti rivolte in tutte il Paese e costrinsero il Presidente de la Rúa alle dimissioni.
Il default, l’elezione di quattro presidenti in due settimane, il deprezzamento a meno di un terzo della moneta e dei redditi e l’inflazione che ne conseguì, sono storia relativamente recente. La crisi provocò per mesi un blocco quasi totale dell’economia, con un’ondata di disoccupazione, microcriminalità e vandalismo che determinarono una forte instabilità sociale.
Dal 2002 la situazione cominciò lentamente a migliorare. Nel 2003 fu eletto presidente Néstor Kirchner che riuscì a ripianare il debito argentino e a nazionalizzare imprese private, anche se continuarono a circolare voci sul pesantissimo e non dichiarato indebitamento del Paese. Nel 2007 e poi nel 2011 la presidente eletta è Cristina, moglie di Kirchner. Nel 2014 fu resa nota l’effettiva inflazione del Paese, che subì un secondo default, dal quale la Nazione si sta ora lentamente e coraggiosamente riprendendo.

Permangono criticità nel nord del Paese sia per le condizioni di povertà di molti abitanti sia per i pochi nativi sopravvissuti, nonostante l’esistenza di leggi nazionali che ne garantiscono i diritti.

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